Red Zone, futuri inquieti

Genova 2001: centinaia di migliaia di persone provenienti da tutto il mondo confluiscono nella città per manifestare contro il G8 e chiedere ai Grandi della Terra un mondo più giusto, più equo, uno sviluppo più solidale e sostenibile. La risposta delle istituzioni è un’azione repressiva di inaudita violenza per mettere a tacere chi gridava “un altro mondo è possibile”.

Vent’anni dopo, quegli stessi temi sono più attuali che mai e si proiettano nei domani di Red Zone – storie di resistenze future: 9 racconti e 3 storie a fumetti che descrivono scenari oscuri, in cui le lotte di ieri e di oggi sono ancora vive e sempre più esasperate, ma nei quali c’è sempre chi trova la forza di resistere.

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Oltre lo Specchio, oltre la solidarietà

Oltre lo Specchio è la terza antologia solidale a cui ho partecipato (e in questo momento sto lavorando a una quarta), per cui ho avuto occasione di ragionare sull’utilità di esprimere e convogliare la solidarietà attraverso il libro, questo strano oggetto che è arte ma anche prodotto, che si legge in una serata ma che resta anche sullo scaffale della libreria o nel lettore ebook per anni.

Sicuramente in un panorama culturale come il nostro, il ricavato di un libro di una CE medio-piccola o self è molto piccolo, una goccia in un mare. Iniziative di supporto da parte di aziende possono essere immensamente più utili nel raccogliere fondi. Ma un’iniziativa come Oltre lo Specchio si affianca alle altre, non le sostituisce. È un’operazione molto diversa, perché è costruita anche e soprattutto per sensibilizzare il pubblico attraverso arte e narrazione. Non si tratta solo di chiedere un contributo per una causa, ma di ragionare a modo nostro – tramite racconti e illustrazioni – e porre delle questioni ai lettori, che attraverso il percorso dell’antologia sono invitati all’interno del discorso, dentro il problema. Il lettore non è solo un consumatore che comprando Oltre lo Specchio aiuta Amnesty International a raccogliere qualche soldino, diventa un elemento attivo del discorso sui diritti umani ogni volta che prende in mano l’antologia o la mostra a qualcuno.

Per questo credo che valga davvero la pena di portare avanti progetti come Oltre lo Specchio, indipendentemente dalla considerazione, a volte amara, che così non si raccolgono certo milioni di euro e che non c’è un ritorno di immagine tale da giustificare lo sforzo di produrre antologie di questo tipo. È parte dell’idea senza tempo che arte e cultura sono dentro la società e che sono orientate anche a produrre un progresso civile, umano.

In Oltre lo Specchio, edito dalla Dark Zone, troverete dieci racconti incentrati sul tema dei diritti umani:

Agenzia Nove di Andrea Marinucci Foa e Manuela Leoni
Alienazione di Linda Talato e Vincenzo Romano
Autonoe di Lily Lorenzini
Broken di Alastor Maverick e L.A. Mely
Il giardino delle parole di Angela M. Perri
Libero arbitrio di Andrea Venturo
Mavis e il Millenario di E. L. Reid
No 1 di Bellard Richmont e Marko D’Abbruzzi
La bara di cristallo di Irene Trabucchi
Exit di Angela M. Perri

Ogni racconto ha una propria illustrazione, oltre alla copertina dell’opera, di Antonello Venditti.

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Oltre lo Specchio

Violenza, guerra, discriminazione, razzismo e sessismo, disuguaglianza si nutrono dello stesso vizio delle società umane: l’ingiustizia.
Solo una società in cui l’uomo cerchi la giustizia, nel suo significato più ampio, può contrastare il dilagare di questi orrori, perché la giustizia sociale è uguaglianza, integrazione, rispetto e solidarietà. Forse non esiste un modo universale di realizzarla, forse è la ricerca della giustizia sociale ad essere la sola strada percorribile, nel non lasciare nessuno indietro, non negare dignità delle persone, dare la parola alle vittime e mettersi nei panni dell’altro. Seguendo questa strada probabilmente non si raggiungerà mai una meta, visto che un’umanità in pace è pura utopia, ma si eviteranno tanti drammi. In questo senso, la giustizia dovrebbe essere considerata una direzione più che un progetto.

Non solo la politica, che nella sua espressione più alta insegna a “pensare agli altri oltre che a se stessi, al futuro oltre che al presente”, ma anche la migliore cultura, con l’arte, la scuola, il teatro, il cinema, la musica e la letteratura, è in prima linea nel contrasto all’ingiustizia sociale, alla violenza e alle disuguaglianze.

Nell’estate 2020, con Senza Confine, abbiamo contribuito all’antologia Mari Aperti che sta raccogliendo fondi per l’ONG spagnola Open Arms, al fine di portare soccorso nel Mediterraneo. Mentre stiamo ancora lavorando al progetto 2021 di Senza Confine, abbiamo dato il nostro piccolo contributo anche a un secondo progetto sociale: Oltre lo Specchio, che invece destinerà ogni ricavo a Amnesty International. Questi contibuti sono solo una goccia in un mare, ma i mari non sono fatti da tante, tantissime gocce?

Il nostro contibuto a Oltre lo Specchio è stato di squadra e ha coinvolto quattro elementi del gruppo Pixies in the Lab, ed è un racconto breve di Andrea Marinucci Foa e Manuela Leoni, editato da Jill Parker e illustrato da Giulia Darcy Rosati, che si intitola Agenzia Nove.

L’idea di partenza di Agenzia Nove si può sintetizzare con l’antico principio ebraico per cui chi uccide un uomo sta uccidendo l’umanità intera. Se ogni uomo è parte della stessa matrice, il nazionalismo esasperato e xenofobo che oggi prende il nome di “sovranismo” mina alle fondamenta il nostro comune destino. Odiare l’altro, combatterlo, sfruttarlo, emarginarlo può costituire una forma particolarmente ottusa di autolesionismo.
Chi, armato di notizie false e strumentali, urla furiosamente tutti i giorni negli spazi pubblici contro i rifugiati, contro i neri, contro gli omosessuali e transessuali, contro le persone che seguono altre religioni o nessuna religione, sta spingendo avanti politiche nazionaliste violente, inumane, a protezione di micro-identità che frantumano, giorno dopo giorno, le nostre comunità che sono ormai fortemente plurali.

In Oltre lo Specchio, che uscirà ad Aprile 2021, edito dalla Dark Zone, troverete dieci racconti incentrati sul tema dei diritti umani:

Agenzia Nove di Andrea Marinucci Foa e Manuela Leoni
Alienazione di Linda Talato e Vincenzo Romano
Autonoe di Lily Lorenzini
Broken di Alastor Maverick e L.A. Mely
Il giardino delle parole di Angela M. Perri
Libero arbitrio di Andrea Venturo
Mavis e il Millenario di E. L. Reid
No 1 di Bellard Richmont e Marko D’Abbruzzi
La bara di cristallo di Irene Trabucchi
Exit di Angela M. Perri

Ogni racconto ha una propria illustrazione, oltre alla copertina dell’opera, di Antonello Venditti.

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Titoli fantastici e come trovarli

Le (poche) cose che ho imparato prima che fosse troppo tardi

Titoli fantastici e come trovarli

Il titolo è un elemento fondamentale in un’opera fantastica, anche se talvolta l’editore solleva gli autori da questo fardello e ne suggerisce o ne impone uno tutto suo. Tra tutti i tipi di titolo, quelli più semplici hanno spesso avuto buoni, anzi ottimi risultati, per cui prima di cercare un titolo insolito o ad effetto per la propria opera diamo uno sguardo sulla consuetudine e sulla pratica abituale del titolo fantastico.

A mio avviso un titolo, per funzionare al meglio oltre a dare il senso dell’opera, deve avere un impatto, non deve generare confusione con altre opere e – importantissimo – si deve ricordare senza troppa fatica. Il titolo del mio primo romanzo, “Jacques Korrigan a Brocéliande”, era difficilissimo da ricordare e aveva un richiamo di nicchia che aveva quindi un impatto ridotto. Serviva a dare il via a una serie, a creare un elemento riconoscibile con i futuri “Jacques Korrigan e la Pietra di Artù” e “Jacques Korrigan e la Strada di Pietra”. Fu un errore di notevole portata. Io e la mia deliziosa coautrice lo cambiammo in seconda edizione, avendo cura di lasciare l’originale come sottotitolo. Il titolo che scegliemmo è semplice, nella tradizione del romanzo fantastico e soprattutto non si rivolge solo ai quattro gatti appassionati delle leggende arturiane e del mito bretone: “La Foresta degli Incanti”. Non ne avrei mai scelto uno così banale, prima di inciampare e farmi molto male con il titolo originale.

La maggior parte dei titoli “semplici” si giocano solo su due o raramente tre elementi. Questi elementi sono evocativi, spesso inflazionati e banali, ma insieme devono costituire qualcosa che sia d’impatto e sia facile da ricordare.

Per le armi, abbiamo una vagonata di titoli centrati su spada e lama, diversi su daga, pugnale, bastone e ascia, pochi con lancia e altre armi. Non compaiono quasi mai armi come la mazza (probabilmente per evitare equivoci spiacevoli), il mazzafrusto, la catapulta, l’alabarda o lo stocco. Titoli di best seller come “il Trono di Spade”, “la Spada di Shannara”, “la Lama dei Druidi” funzionano molto bene, mentre probabilmente “la Catapulta di Shannara” o “la Balestra dei Druidi” avrebbero dato qualche problema.

Poi abbiamo le parti del corpo, con in pole position il sangue, l’occhio, l’ala, l’artiglio, la coda, le corna, le zanne e le mascelle. Più raramente compaiono chiome, criniere, zoccoli, creste e pinne, mentre sono sottovalutate nei titoli altre parti come le ginocchia, le orecchie, il naso e il mento. “L’Ala del Drago” è un titolo che si ricorda bene, “la Grigia Criniera del Mattino” uno molto più elaborato e particolare, che includerei tra i titoli complessi.

Per l’architettura e l’urbanistica abbiamo un’inflazione di castelli, fortezze, palazzi, torri, città, villaggi, locande e taverne, tumuli, templi, prigioni, segrete, strade, vicoli e sentieri, tanto che è inutile far degli esempi. Altri elementi compaiono più raramente: i porti, i pozzi, i merli, le guglie, i tetti, gli archi e le volte che pure hanno un potenziale come ne “il Pozzo di Shiuan” e “le Volte di Fuoco”, titoli di tutto rispetto. Si hanno poi anche regni, ducati, contee, imperi e baronie.

Oggetti assortiti, spesso simbolici o magici, come armature, elmi, scudi, sigilli, talismani, amuleti, anelli, scrigni, chiavi, corone, scettri, troni, coppe, calici, pietre, gemme sono molto comuni dei titoli. Non compaiono praticamente mai oggetti meno evocativi, anche se un titolo come “la Settima Caraffa” o “la Grattugia del Negromante” mi indurrebbero a leggere subito la quarta di copertina.

Un discorso a parte andrebbe fatto per la musica, dove arpe e corni vanno per la maggiore, ma dove compaiono anche canti, canzoni, danze e ballate.

Sul piano meteo troviamo soprattutto tempeste, nebbie, ghiacci, arcobaleni, bufere, uragani. Lievi brezze e pomeriggi di sole tirano poco. Nei titoli compaiono abitualmente anche nuvole, lune e stelle.

Gli ambienti naturali sono praticamente tutti ben rappresentati: isole, boschi, foreste, giungle, valli, montagne, fiumi, laghi, mari, praterie, paludi, deserti e profondità abissali. C’è di tutto, senza discriminazioni. Molto utilizzati anche i particolari e le manifestazioni naturali: alberi, tronchi, rami, pietre, sassi, sabbie, terre, fanghi, fiori, spiagge, scogliere, onde, fuochi…

Invece per gli animali, realistici o fantastici, c’è una grandissima preponderanza di quelli con forte carica drammatica ed epica, come draghi, grifoni, lupi, segugi, serpenti, cinghiali, falchi, orsi, cervi e così via, con meno creature comuni – che comunque a volte compaiono – come cani, destrieri, colombe. Quasi mai vengono rappresentati nei titoli animali poco nobili. “Il Sigillo del Bradipo Rampante” o “l’Artiglio Scarlatto del Fagiano” non funzionerebbero molto bene.

Per i ruoli e le professioni, ci sono un’infinità di eredi, principi, principesse, araldi, barbari, guerrieri, stregoni, maghi, incantatori (e varianti assortite), re, imperatori, capitani e soldati, pirati, ladri e assassini, viandanti e reietti. Compaiono talvolta cortigiane, fabbri, mercanti e scudieri ma rarissimamente sono ritenuti degni d’un titolo manovali, contadini, falegnami, scrivani o stallieri. Sul versante dei non umani, si trovano frequentemente fate, elfi, gnomi, nani, orchi, troll e goblin.

Compaiono spesso anche dei concetti drammatici, spesso militari e di combattimento, come la morsa, la stretta, l’agguato, l’assedio, la carica e la fuga, oppure basati su situazioni e sensazioni come il terrore, la disperazione, la desolazione, la solitudine, la tentazione, la morte, il destino, il fato. Nel calderone dei concetti molto gettonati c’è poi la magia, il sortilegio, la stregoneria, la pestilenza, la ribellione, la vittoria e la sconfitta, il ritorno e l’esilio.

Agli elementi base, che ben combinati possono già dare un bel titolo di loro, si aggiungono poi a piacere nomi – possibilmente con un potenziale esotico e una sonorità adatta all’atmosfera – aggettivi e variazioni che danno quel tocco distintivo che arricchisce l’insieme.

Aggettivi sensoriali, basati su luce, colori, suoni e temperatura sono molto utilizzati: freddo, scarlatto, silente, oscuro sono ingredienti abituali di un titolo con una struttura molto semplice. Anche i metalli, come ferro, acciaio, bronzo, argento e oro fanno la loro figura nei titoli e uniscono una sensazione cromatica a una tattile.

Il punto di equilibrio tra un titolo inflazionato e un titolo che non si ricorda è molto sottile e l’unico consiglio che posso dare è quello di scegliere con attenzione e ascoltare molti pareri perché sbagliare è molto facile.

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Mari Aperti

MARI APERTI  Autori Vari, a cura di Maikel Maryn e Andrea Marinucci Foa 293 pagine – Agosto 2020, distribuito su Amazon e Produzioni dal Basso…

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Ed ecco a voi “Mari Aperti”.

No, non siamo spariti. Il covid non ci ha ammazzati. Per un anno abbiamo lavorato a un progetto molto ambizioso, che ha visto 21 persone collaborare per un’antologia fantastica che serve a raccogliere fondi per Open Arms. E’ stato il lavoro editoriale più duro che abbiamo affrontato, visto che non abbiamo fatto riferimento a editori, ma abbiamo lavorato a fianco di Maikel Maryn e MalaSpina, per curare questo progetto facendo affidamento solo sulle forze della squadra di autori e illustratori che abbiamo riunito. Tutte persone straordinarie dalla grande professionalità e dall’enorme carica creativa.

Finalmente disponibile l’antologia Mari Aperti, che raccoglie fondi per Open Arms e per le sue attività nel Mediterraneo.

Ecco cosa troverete in Mari Aperti:

  1. In un giorno e una notte di Mauro Longo – illustrato da Pietro Rotelli
  2. Gli orfani di Assalung di Federica Soprani – illustrato da Daniela Giubellini
  3. Sette volte Wodenn di Francesco Lanza – illustrato da Barbara Aversa
  4. Lóng Nǚ, la ragazza-drago di Monica Serra – illustrato da Viviana Marinucci
  5. Pensieri di confine di Jill Parker – illustrato da Giulia Darcy Rosati
  6. L’ultimo grido degli déi di Marta Duò – illustrato da Andrea Piera Laguzzi
  7. Il rifugio del signore del mare di Andrea Marinucci Foa e Manuela Leoni – illustrato da Morgana Marinucci
  8. Aylan a chi?/Quarantesettesimo Parallelo di Alessandro Chiometti – illustrato da Claudio Calia
  9. Mare inferum di Maikel Maryn – illustrato da SoloMacello
  10. Mari di fantasia – saggio di Giorgio Smojver – illustrato da Morgana Marinucci

E una bellissima copertina ad opera dell’illustratrice e autrice fantasy italiana Mala Spina.

Disponibile: tramite Produzioni dal Basso con una donazione di € 3,99 o superiore; su Amazon per Kindle a € 3,99 e in cartaceo a € 14,99.

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Manuali, la nostra prossima sfida

Cosa ci fa una coppia di scrittori di “genere” in un progetto di manualistica? E perché siamo così orgogliosi di aver partecipato alla prossima, imminente pubblicazione di questo manuale di diritto amministrativo? Sarebbe troppo lungo da spiegare in questo spazio… Ehi, un momento! Questo spazio è tutto nostro e decidiamo noi quanto dilungarci, quindi non tenete conto dell’ultima affermazione. Ve lo spieghiamo eccome!

Non molto tempo fa, stavamo parlando di manuali con Massimo Vaccaro, che insegna all’Ateneo diritto amministrativo (e diverse altre materie). Il “manuale” è uno strumento che nasce insieme e attorno all’insegnamento della materia. Ma dal momento in cui diventa “libro”, prende una strada tutta sua. Si evolve sì parallelamente al corso, ma non segue necessariamente la stessa direzione. Così, la manualistica nel tempo elabora e affina un suo linguaggio, fissa degli standard, lascia sedimentare delle abitudini che derivano in buona parte dalla generazione precedente dei manuali. Nel tempo le tendenze originarie spesso si accentuano, così ad esempio un linguaggio che all’inizio del Novecento è stato trasposto da quello dell’insegnante dell’aula ci appare oggi raffinato e, nel corso del tempo e dopo generazioni di manuali della stessa materia, invece di seguire l’evoluzione del linguaggio orale amplia i termini inusuali, aggiunge subordinate, diventa artificioso, ostico… Ma soprattutto si separa completamente dai meccanismi della formazione.

Perché allora non fermarsi un momento a riflettere e, invece di partire dall’ultima generazione di manuali, non tentare una nuova trasposizione della lezione moderna?

Nella nostra epoca, dove i dati sono reperibili con un click, la parte più importante della manualistica è quello che si può definire “il senso” della materia. Perché esistono queste regole? Da dove vengono? Come si innestano nella società e come si articolano nel quadro generale? Quale filosofia c’è dietro? Comprendere “il senso” equivale a impadronirsi della materia, ragionarci sopra. Da qui viene il nome della nostra collana, “ragioniamo insieme”, che non è solo un auspicio ma spiega benissimo ciò che ci siamo riproposti di fare.

Questa fase storica per l’editoria è molto interessante (anche nel senso dell’antica maledizione cinese, “ti auguro di vivere in tempi interessanti”) e quindi apre inevitabilmente uno spazio alla sperimentazione. Il digitale, il print on demand, la vendita online abbattono i costi dell’editoria, dando la possibilità alle piccole realtà di mettersi sul mercato con dei progetti che un tempo sarebbero stati troppo rischiosi. È il momento giusto per tirare fuori le idee nuove, non tanto per cercare di affermarle come aggiornamento del modello standard, ma per lasciare ai lettori e agli studenti uno spazio più ampio di pluralsimo, una scelta tra opere davvero diverse. Vogliamo farlo combattendo l’idea del modello unico e ottimale, di romanzo come di manuale, di trama come di linguaggio, che è tipica dell’epoca dell’oligopolio, dell’uniformità, del modello emergente e universalistico. È tempo di essere un po’ eretici, di ignorare la corrente principale e di lasciare alle grandi case la tradizione polverosa di manuali incomprensibili, contorti, mnemonici, che istillino repulsione per l’argomento nell’ottica che la conoscenza di una materia qualunque debba essere un’esercizio di sofferenza e che quindi sia riservata solo a pochi.

La sfida che abbiamo accolto è quella di curare dei manuali che possono essere letti senza soffrire, con un linguaggio ricco e articolato ma diretto, senza artifici e costruzione contorte che rendano i concetti inaccessibili, “linguaggio magico” per iniziati. “Diritto Amministrativo” rappresenta l’esordio dell’Ateneo come piccola casa editrice, della collana “ragioniamo insieme” che siamo orgogliosi di curare, di Massimo Vaccaro come autore di manuali  e del nostro modo di affrontare manuali e saggi, che non è “giusto” o “sbagliato”, ma che vuole aggiungere qualcosa al novero delle opportunità dei lettori.

 

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Eppur si muove

In ogni epoca, la cultura italiana è in crisi per colpa di qualcosa e qualcuno.

Oggi una parte della cultura indica chiaramente i nemici: internet, il digitale, il computer che non ci fa guardare in faccia, l’editoria a pagamento, la scrittura di massa che intasa il mercato di spazzatura.

Ogni Verità enunciata, per quanto fantasiosa, ha una parte di realtà. Così, è certamente vero che tra le opere che “intasano” allegramente la rete alcune sono immature, altre sono sgrammaticate, altre ancora sono copie di libri che hanno guadagnato fama e vendite. Ed è indiscutibilmente vero che non fa bene alla salute mentale abusare del contatto telematico. Infine, esistono ancora case editrici che cercano di spremere come limoni autori esordienti con contratti che li obbligano all’acquisto di decine di copie.

Si vuole una cultura elitaria, praticata da pochi e “consumata” dalla massa? Apprezzata sì, ma senza la malaugurata tentazione di far propria l’arte e mettersi a scrivere?

Parrebbe di sì.

Quando poi la massa non apprezza per nulla le opere elitarie e ha una insopportabile, malsana voglia di leggerezza diventa “ignorante” e “non capisce niente”. Analfabetismo funzionale. Tutta colpa di… e giù con il capro espiatorio di turno… Internet? Il cinema? La TV? Il monopolio editoriale? La scuola? Le giovani generazioni (“ah, ai miei tempi…”)? Il populismo (il collegamento mi sfugge, ma c’è chi lo dice)? “Le cavallette, il terremoto, una terribile inondazione…”

Poi è vero che la scuola è devastata, che la distribuzione penalizza le piccole case editrici, che in tv impera la spazzatura e c’è poco di interessante da vedere. Figuriamoci se non è vero!

Ma se si fa un giretto in “territorio nemico”, nel web, si scopre un esercito di nuovi autori, molti giovanissimi e in grandissima maggioranza donne, che non solo osano scrivere senza il placet delle generazioni precedenti ma che si parlano e si aiutano tra loro come i vecchi autori, quelli della vecchia carta-al-profumo-di-carta, si sono sempre guardati bene dal fare. Si scoprono piccole case editrici che non sono certo a pagamento, che pubblicano opere ben curate una dietro l’altra e magari hanno già programmato le uscite del 2018 e del 2019. Editori giovani che passano parte del loro tempo parlando con autori e lettori sui famigerati social, educando (parola desueta, eh!) alla lettura e all’arte, all’uso delle fonti storiche, alla cura del testo.

E allora cosa si conclude? Che a destabilizzare, a spaventare a morte la cultura italiana del presente è la perdita del controllo. Perché nelle strabilianti statistiche che mostrano impietose il degrado dell’editoria nostrana, la piccola e piccolissima editoria che utilizza canali alternativi sfugge. Sfuggono i lettori che trovano le loro storie nei blog e nei social di scrittura. Sfuggono gli autori indipendenti. C’è un fenomeno in corso che nessuno riesce a misurare né a prevedere con chiarezza, che nessuno trova modo di contenere o di dirigere.

Io non mi spavento affatto se la scrittura esce dai canali tradizionali, se le piccole case editrici superano in coraggio e innovazione le grandi, se la distribuzione tradizionale (finalmente) crepa, sostituita da qualcosa che esiste già e magari da qualcosa che nascerà in breve. È un rinnovamento che viene da giovani, lettori, autori ed editori non dal decreto di un tiranno o dalle leggi del mercato globale. Non mi spaventa, nonostante i rischi evidenti che vengono dalla carenza di intermediari dalla mentalità aperta. La cultura è elastica: se si tira troppo da una parte, poi nel tempo si riaggiusta, trova un nuovo equilibrio.

L’editoria? Sembra ferma, eppur si muove.

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Servizi editoriali

Noi ci occupiamo di un settore molto penalizzato dalla crisi, l’innovazione. A questa parola, ormai tristemente desueta, abbiamo accostato “sostenibile”, per indicare che qualcosa si…

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Diario di viaggio, parte prima.

La cronaca semiseria di un autore alle prese con il viaggio di Darwin.

BeagleDarwin è appena partito con il Beagle, io con il racconto. Sì, lui è qualche anno più indietro, ma ha una scadenza più lunga.
Il Beagle è un brigantino con dieci cannoni. Non li useranno mai, quei cannoni. Se li portano dietro giusto perché Larussa non affitta ancora i marò. E forse è meglio così.
Quando arriva a Capo Verde, il giovane Darwin, che è un inglese tipico, alza il sopracciglio come Spock e mormora “interessante”. Non si sbraccia per l’entusiasmo.
Poi però scrive. E quando scrive Darwin non ha più bisogno di fare l’inglese.
“Il paesaggio, osservato attraverso l’atmosfera nebbiosa di questo clima, ha un grande interesse, se una persona appena sbarcata e che ha fatto per la prima volta una passeggiata in un bosco di palme da cocco può giudicare qualcosa che non sia la propria felicità”.
E allora, pensi che se il suo libro fosse presentato in modo diverso non ci sarebbe neppure bisogno di costruire qualcosa di nuovo. Si immagina già dalle sue parole l’espressione che ha Darwin mentre passeggia tra le palme, l’importanza che ha per lui quel viaggio. Calcolo, ambizione… certo, ma è felice come una pasqua, guarda le cose con l’occhio del naturalista, ma è lì, in quel momento e in quel posto, e qualcosa canta dentro di lui.

Quando lo studi in modo tradizionale, lo immagini alle Galapagos. Il marinaio gli indica il fringuello: “guardi, mr Darwin. Guardi che bello!”
Ma Darwin sta già studiando il becco e pensa alla selezione naturale. E’ un marziano, Darwin. Non guarda, esamina, scruta. Non ha occhi, ha due microscopi.
Il Darwin dei testi non sorride. Riflette.
Per cinque anni.
E quando torna sa già tutto. Che poi a chi studia stanno sulle balle quelli che sanno già tutto.

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