Eppur si muove

In ogni epoca, la cultura italiana è in crisi per colpa di qualcosa e qualcuno.

Oggi una parte della cultura indica chiaramente i nemici: internet, il digitale, il computer che non ci fa guardare in faccia, l’editoria a pagamento, la scrittura di massa che intasa il mercato di spazzatura.

Ogni Verità enunciata, per quanto fantasiosa, ha una parte di realtà. Così, è certamente vero che tra le opere che “intasano” allegramente la rete alcune sono immature, altre sono sgrammaticate, altre ancora sono copie di libri che hanno guadagnato fama e vendite. Ed è indiscutibilmente vero che non fa bene alla salute mentale abusare del contatto telematico. Infine, esistono ancora case editrici che cercano di spremere come limoni autori esordienti con contratti che li obbligano all’acquisto di decine di copie.

Si vuole una cultura elitaria, praticata da pochi e “consumata” dalla massa? Apprezzata sì, ma senza la malaugurata tentazione di far propria l’arte e mettersi a scrivere?

Parrebbe di sì.

Quando poi la massa non apprezza per nulla le opere elitarie e ha una insopportabile, malsana voglia di leggerezza diventa “ignorante” e “non capisce niente”. Analfabetismo funzionale. Tutta colpa di… e giù con il capro espiatorio di turno… Internet? Il cinema? La TV? Il monopolio editoriale? La scuola? Le giovani generazioni (“ah, ai miei tempi…”)? Il populismo (il collegamento mi sfugge, ma c’è chi lo dice)? “Le cavallette, il terremoto, una terribile inondazione…”

Poi è vero che la scuola è devastata, che la distribuzione penalizza le piccole case editrici, che in tv impera la spazzatura e c’è poco di interessante da vedere. Figuriamoci se non è vero!

Ma se si fa un giretto in “territorio nemico”, nel web, si scopre un esercito di nuovi autori, molti giovanissimi e in grandissima maggioranza donne, che non solo osano scrivere senza il placet delle generazioni precedenti ma che si parlano e si aiutano tra loro come i vecchi autori, quelli della vecchia carta-al-profumo-di-carta, si sono sempre guardati bene dal fare. Si scoprono piccole case editrici che non sono certo a pagamento, che pubblicano opere ben curate una dietro l’altra e magari hanno già programmato le uscite del 2018 e del 2019. Editori giovani che passano parte del loro tempo parlando con autori e lettori sui famigerati social, educando (parola desueta, eh!) alla lettura e all’arte, all’uso delle fonti storiche, alla cura del testo.

E allora cosa si conclude? Che a destabilizzare, a spaventare a morte la cultura italiana del presente è la perdita del controllo. Perché nelle strabilianti statistiche che mostrano impietose il degrado dell’editoria nostrana, la piccola e piccolissima editoria che utilizza canali alternativi sfugge. Sfuggono i lettori che trovano le loro storie nei blog e nei social di scrittura. Sfuggono gli autori indipendenti. C’è un fenomeno in corso che nessuno riesce a misurare né a prevedere con chiarezza, che nessuno trova modo di contenere o di dirigere.

Io non mi spavento affatto se la scrittura esce dai canali tradizionali, se le piccole case editrici superano in coraggio e innovazione le grandi, se la distribuzione tradizionale (finalmente) crepa, sostituita da qualcosa che esiste già e magari da qualcosa che nascerà in breve. È un rinnovamento che viene da giovani, lettori, autori ed editori non dal decreto di un tiranno o dalle leggi del mercato globale. Non mi spaventa, nonostante i rischi evidenti che vengono dalla carenza di intermediari dalla mentalità aperta. La cultura è elastica: se si tira troppo da una parte, poi nel tempo si riaggiusta, trova un nuovo equilibrio.

L’editoria? Sembra ferma, eppur si muove.

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La guerra dei Self

Molti credono che gli autori si dividano in pubblicati e autopubblicati, i primi accuratamente selezionati da valenti editori e i secondi sgrammaticati e pasticcioni dilettanti della scrittura. Altri vivono il film della battaglia del piccolo Davide “self” contro il Golia della casa editrice, che presenta romanzi dozzinali e troppo commerciali.

La realtà è articolata e complessa. L’editoria “self” è varia più che avariata e i motivi che spingono gli autori a intraprendere un cammino tanto arduo sono tantissimi, più di quanti se ne possano immaginare. Tra l’altro, al popolo “self” oggi si affiancano i cugini ricchi e controversi dell’eap (editoria a pagamento), autori testardi che pagano le spese della pubblicazione delle proprie opere pur di vederle pubblicate, e i cugini bravi della piccola editoria, che pur valutati e selezionati da editori, devono sobbarcarsi le spese e le fatiche di epiche campagne autopromozionali per superare la barriera delle 300 copie vendute. Nel frattempo gli autori delle grandi case editrici vengono spesso abbandonati sul ciglio dell’autostrada, lasciati a curare la loro promozione come comunissimi “self” o a gestire da soli le presentazioni, e si uniscono anch’essi all’allegra brigata che giornalmente intasa i social con avvisi letterari più o meno dotti e più o meno interessanti ma generalmente ignorati al grido di “amo i libri ma che palle vedere facebook piena di copertine invece che di giocatori di calcio e di fighe in bikini”, sentimento che spiega benissimo perché l’Italia è in testa a tutte le classifiche internazionali della lettura, della scolarizzazione e degli investimenti in innovazione.

Niente battaglie, quindi, solo una situazione fluida e in cui domina la volontà di andare avanti nonostante i molteplici ostacoli della crisi economica, della crisi della lettura, della crisi dell’editoria, della crisi della cultura, della crisi dell’informazione, senza neppure aspettare che finalmente la crisi entri in crisi e finisca.

Gli scrittori sono troppi? I “self” sono buoni o cattivi? E gli editori? E chi si pubblica a pagamento è un cocciuto anticonformista o uno sfigato imbrogliato da squali tipografici? Queste domande raramente hanno senso. Ogni autore ha un motivo tutto suo per pubblicare e un motivo tutto suo per farlo con un canale invece che con un altro. Generalizzare con “i self fanno schifo” o “le piccole case editrici sono tutte eap mascherate” è facile, una bella scorciatoia per risparmiarsi la fatica di ascoltare una proposta. Ebbene, non tutti i self sono dilettanti, non tutte le piccole case editrici imbrogliano, non tutte le grandi sbagliano politica a 360°.

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