Self Publishing Quality 2016

Stabilire la qualità dei libri “indie” è il limite principale dell’editoria “self”, ciò che la differenzia dall’editoria tradizionale. Un editore seleziona e pubblica opere in base a una politica editoriale, a un progetto che ha sempre un senso generale e un pubblico di riferimento. Un autore indipendente traccia un proprio progetto, è libero di sperimentare e di proporre qualcosa che un editore probabilmente non inserirebbe nelle sue collane. Il prezzo di questa autonomia è l’assenza di un intermediario che ne garantisca in qualche modo la qualità. All’autore indipendente spetta quindi l’arduo compito di tranquillizzare un pubblico di lettori che inciampa spesso in testi pieni di refusi e di opere senza una storia.

Oggi molti canali si offrono in questo ruolo, di intermediario. Si tratta soprattutto di reti di blog e siti specializzati, che tuttavia davanti a generi che non sono “di moda” talvolta si confondono e non mostrano le capacità di affrontare stili e progetti che non seguano delle strade già molto conosciute. Rimane da chiedersi se in un prossimo futuro questo spazio tra l’autore “indie” e i lettori verrà infine colmato e in che modo si proponga di valorizzare quel tesoro costituito dal pluralismo del selfpublishing, senza ingabbiare l’autonomia progettuale degli autori indipendenti.

Su questo tema, è stato organizzato un convegno, Self Publishing Quality 2016 al fine di incontrare alcuni autori che hanno sperimentato le modalità dell’autopubblicazione e professionisti del settore. L’incontro avrà luogo Venerdì 17 giungo 2016 dalle ore 14:00 alle ore 19:00, presso i locali della FUIS (Federazione Unitaria Italiana Scrittori), a Roma, Piazza Augusto Imperatore, 4.

Sono curioso di vedere quali risposte e soprattutto quali domande emergeranno in questo evento.

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Nasce Indi Session

cropped-testataVi presentiamo il nuovo progetto a cui collaboriamo, in compagnia di altri autori nella saggistica, narrativa e musica.
In breve (ehm, nel nostro “breve”): è una sperimentazione per riportare e rapportare al pubblico le opere indipendenti “di qualità”. Troppo spesso le opere “indie” sono percepite – e spesso addirittura presentate – come autoreferenziali, disconnesse da un contesto culturale. L’editoria e la musica indipendenti di qualità, quelle che sono espressione di un percorso di ricerca, che si sforzano al massimo nella cura e nell’originalità delle proposte, devono connettersi al pubblico anche negli eventi di presentazione. Nella nostra idea, il pubblico è l’origine e il fine del lavoro di un artista, quello che c’è in mezzo può anche essere titanico, geniale, meraviglioso, ma deve necessariamente trovare un contesto in cui collocarsi.
La folle idea di costruire eventi collaborativi e a più arti segue l’osservazione che nel nostro tempo i ritmi si fanno più veloci, il tempo di attenzione del pubblico si contrae secondo le modalità del “trailer”; questo limite si può trasformare in opportunità se concepiamo l’evento di presentazione come un viaggio a tappe, dotato di un suo filo conduttore e di alcune soste interessanti.
Così, insieme ad autori innovativi e particolarmente attenti ai fenomeni culturali e artistici indipendenti come Nunzia Assunta D’Aquale, Margherita Melara, Fabio Rizza e le autrici e le musiciste di Ancient Tales, abbiamo costruito l’evento pilota di Indi Session, con l’intento di inaugurare un modello per valorizzare il percorso dell’autoproduzione nel contatto con il pubblico.

Potete seguire Indi Session sul suo sito e sulla sua pagina facebook.

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Il pluralismo e l’immaginario editoriale collettivo

In Italia non esiste il motto “c’è posto per tutti”. Non sia mai! Da noi esistono ricette per IL libro, singolare come LA famiglia ma anche LA amatriciana, LA pizza, IL cellulare. Singolare, perché abbiamo tempo e voglia di considerare un solo modello, standard e vincente, direttamente colto dall’idea platonica nella caverna e applicato alla realtà come un filtro photoshop.
Dove ci sono DUE modelli, per esempio ebook e cartaceo, ci si batte all’ultimo inchiostro con un gran cozzare di tweet e post per stabilire quale vince e quale perde.
Abbiamo un immaginario editoriale collettivo stretto, in quest’epoca misera misera. Eppure là fuori, oltre il nostro naso compulsivamente infilato nelle classifiche delle vendite come nelle mutande delle famiglie e nelle cucine degli italiani (Un cappuccetto rosso oggi farebbe: che naso lungo che hai! E’ per giudicare meglio, nipotina mia), succedono molte cose interessanti. Ne succedono anche qui, ma fuori dal nostro limitato campo visivo.
Ultimamente soffro di claustrofobia. Il paese mi sta stretto, mi opprime. Perché è diventato piccolo, provinciale, insignificante. E’ una pulce rancorosa che soffoca la creatività dei suoi artisti, taglia le gambe alla ricerca, brucia nel rogo dell’emarginazione i suoi eretici.
Il pluralismo non è più parte del nostro quotidiano: quando novelli editori ti spiegano che onestamente il fantasy ha “rotto il cazzo”, ci si accorge che siamo alla frutta, c’è posto per una sola idea per volta e tutto il resto è spazzatura.
Si scrive per vincere qualcosa? Sembra proprio che sia così. Scrivi il libro modale e vinci… cosa? Un buono sconto di Amazon? Il modale funziona, ha sempre funzionato. Mediocremente ma senza rischi. Certo, il nobel per la letteratura te lo scordi con un romanzo senza spina dorsale, ma puoi sempre lottare per il primo posto nella top 100.
Vogliamo allargare un po’ la nostra immaginazione? Vogliamo smettere di giudicare sempre e comunque e iniziare a guardarci intorno? Vogliamo accantonare IL fenomeno emergente e fare qualcosa di nuovo? L’editoria è pluralismo, IL lettore tipo non esiste. Esistono i lettori, tanti o pochi che siano, divisi in mille rivoli, disseminati in cento generi. Vogliamo che riprendano a leggere? Bene, allora per prima cosa allarghiamo la scrittura.

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La Frontiera della Scrittura

Parte prima: l’avvento dell’ebook e la promozione
Di Andrea Marinucci Foa

libro_aperto1Negli ultimi anni, l’avvento del digitale ha aperto nuove strade e oggi sta conquistando uno spazio considerevole nel panorama editoriale italiano, anche se in misura leggermente minore di quanto accada all’estero. Gli ebook stanno scalando quote sempre più ampie di mercato e gli store online, sempre più forniti ed efficienti nella consegna a domicilio dei libri tradizionali, mettono in allarme la grande distribuzione.

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Promuoversi con storie brevi (prima puntata)

mT8VifKhfVV3R4tRvkO8Jw_rQuesto è il primo articolo sulla strategia per autopromuoversi, senza pretenziosi “i cinque migliori sistemi per conquistare la galassia a colpi di ebook” o “i dieci sistemi killer per convertire al digitale anche il pitecantropo del piano di sopra e il pesce rosso di zia Berta”, insomma si tratta di qualche consiglio “normale”, da autore semisconosciuto ad autore semisconosciuto.

Per prima cosa, lavorando a un romanzo, una saga, un ciclo, trovo molto utile produrre un po’ di materiale extra, magari un racconto breve o un piccolo spin-off. Qualcosa che sia divertente da scrivere e che si riallacci all’opera principale. Di questi tempi, la soglia di attenzione è sempre più ristretta. Un tempo si parlava dell’esigenza di conquistare il lettore nelle prime cento pagine, in tempi più recenti delle 10 pagine in cui si deciderà se il libro verrà letto o spietatamente abbandonato. Oggi, secondo gli autorevoli consigli di autori “navigati” e guru assortiti dello storytelling, si è più sbrigativi: il destino del libro è appeso all’incipit.

Un libro conquista per i personaggi, per lo stile, per la storia, per l’atmosfera. Viene scelto perché diverte, appassiona o tiene inchiodato il lettore con la suspense (dipende dal genere), emozioni che un paragrafo o due non sempre riescono a destare, per cui la storia breve (quella che non supera la soglia psicologica delle 25 pagine) aiuta molto l’autore a dare un assaggio dell’incantevole atmosfera del suo romanzetto di 1500 pagine, dei personaggi del suo ciclo in quattordici comodi volumi in confezione unica dotata di servosterzo, dell’ambientazione frettolosamente tratta da 22 anni di studi universitari sulla tribù neanderthaliana di Grotta Breuil. Insomma, serve da antipasto ed è tanto più utile quanto più numerose e consistenti sono le portate che seguono.

Una promozione di questo genere a me è stata davvero molto utile, per cui la consiglio spassionatamente a tutti gli autori indipendenti.

La tecnica che trovo più efficace è quella di curare moltissimo questa promozione, trovargli una bella copertina, controllare bene il linguaggio e fare più passaggi di correzione di bozze, studiare bene una quarta di copertina (che negli ebook è il testo che accompagna la copertina negli store), insomma trattare questo mini-ebook come vorreste (o avete voluto) trattare il vostro adorato romanzo. Ai lettori piace essere trattati bene e la cura dei dettagli è un gesto che non passa inosservato agli occhi dei più smaliziati. Alla fine del racconto (o dei racconti) promozionali, si devono mettere sempre due righe per presentare l’autore e l’elenco completo delle pubblicazioni (è ovvio, ma spesso ci si perde proprio sulle cose scontate).

Se vi interessa sapere qualcosa di più su come potreste fare (io non sono un guru e non posso né comunque vorrei mai dirvi come dovreste fare), aspettate la prossima puntata.

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La guerra dei Self

Molti credono che gli autori si dividano in pubblicati e autopubblicati, i primi accuratamente selezionati da valenti editori e i secondi sgrammaticati e pasticcioni dilettanti della scrittura. Altri vivono il film della battaglia del piccolo Davide “self” contro il Golia della casa editrice, che presenta romanzi dozzinali e troppo commerciali.

La realtà è articolata e complessa. L’editoria “self” è varia più che avariata e i motivi che spingono gli autori a intraprendere un cammino tanto arduo sono tantissimi, più di quanti se ne possano immaginare. Tra l’altro, al popolo “self” oggi si affiancano i cugini ricchi e controversi dell’eap (editoria a pagamento), autori testardi che pagano le spese della pubblicazione delle proprie opere pur di vederle pubblicate, e i cugini bravi della piccola editoria, che pur valutati e selezionati da editori, devono sobbarcarsi le spese e le fatiche di epiche campagne autopromozionali per superare la barriera delle 300 copie vendute. Nel frattempo gli autori delle grandi case editrici vengono spesso abbandonati sul ciglio dell’autostrada, lasciati a curare la loro promozione come comunissimi “self” o a gestire da soli le presentazioni, e si uniscono anch’essi all’allegra brigata che giornalmente intasa i social con avvisi letterari più o meno dotti e più o meno interessanti ma generalmente ignorati al grido di “amo i libri ma che palle vedere facebook piena di copertine invece che di giocatori di calcio e di fighe in bikini”, sentimento che spiega benissimo perché l’Italia è in testa a tutte le classifiche internazionali della lettura, della scolarizzazione e degli investimenti in innovazione.

Niente battaglie, quindi, solo una situazione fluida e in cui domina la volontà di andare avanti nonostante i molteplici ostacoli della crisi economica, della crisi della lettura, della crisi dell’editoria, della crisi della cultura, della crisi dell’informazione, senza neppure aspettare che finalmente la crisi entri in crisi e finisca.

Gli scrittori sono troppi? I “self” sono buoni o cattivi? E gli editori? E chi si pubblica a pagamento è un cocciuto anticonformista o uno sfigato imbrogliato da squali tipografici? Queste domande raramente hanno senso. Ogni autore ha un motivo tutto suo per pubblicare e un motivo tutto suo per farlo con un canale invece che con un altro. Generalizzare con “i self fanno schifo” o “le piccole case editrici sono tutte eap mascherate” è facile, una bella scorciatoia per risparmiarsi la fatica di ascoltare una proposta. Ebbene, non tutti i self sono dilettanti, non tutte le piccole case editrici imbrogliano, non tutte le grandi sbagliano politica a 360°.

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Libri e social: usi e costumi 2.0

Un sito web di narrativa, di arte o di musica (insomma di quella cultura con cui “non si mangia” per ordine dell’allora ministro Tremonti) che voglia costruirsi un pubblico e un gruppo di autori propositivi, oggi bandisce spesso dei concorsi aperti ai voti tramite i social o addirittura con commenti sui blog. Molti si domandano che senso abbia affidare il destino della gara nelle mani dei contatti del web, perché chiaramente chi ha più amici e spende più tempo su Facebook ottiene matematicamente più consensi, a parità di qualità dell’opera, di chi è appena sbarcato sui social.

Qual è il senso?

Se analizziamo questi concorsi da una prospettiva professionale, quello che emerge è un innovativo sistema di promozione a più livelli e a più soggetti.

Il sito che prendiamo in esame parla di cultura e spesso ne produce anche. La sua eco sul web è sommersa dai grandi siti che possono pagare per conquistare le prime posizioni sui motori (nell’ottica attuale di “se sei ricco vinci sempre” e delle “zero opportunità”). Per scavarsi faticosamente una nicchia e sopravvivere deve avere un vivace viavai di lettori e di autori che collaborino attivamente nella promozione. L’ottica collaborativa e la convergenza di interessi sono la chiave della sostenibilità, quello che oggi può mantenere viva la produzione culturale attraverso le reti. Vale per siti e blog, ma anche per la piccola editoria che compete con dei titani veri e propri, gelosi della loro posizione e armati fino ai denti.

Il concorso aperto ai voti del pubblico è un’operazione che coinvolge il sito che lo propone, gli autori che vi partecipano e i lettori. Ogni soggetto concorre a moltiplicare il traffico sul sito, perché nella competizione (spesso amichevole) tra gli autori in gara, è determinante attirare il pubblico sull’opera preferita (o sulla propria). Gli autori che si mettono alla prova hanno un ritorno d’immagine, i lettori accedono gratuitamente alle opere in gara. E tutto questo stimola interesse e attenzione sulla cultura in generale.

La convergenza di interessi è evidente.

Alcune gare hanno anche una giuria di esperti che valuta le opere più votate, risolvendo il problema dell’eventuale distorsione “più amici più voti” e dando maggiore autorevolezza al concorso.

Questo è il senso. Spezzo volentieri una lancia a favore di queste iniziative collaborative che coinvolgono il pubblico, e la spezzo volentieri sulla testa di quelli che cercano sempre il “nuovo” e quando lo incontrano protestano perché non si accorda ai vecchi e consolidati sistemi.

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