Antropologia, pregiudizio e worldbuilding (parte prima)

APPUNTI DI LABORATORIO

Creando percorsi per il laboratorio di narrativa, nascono riflessioni sull’esperienza e la ricerca che ho accumulato nella scrittura e nell’editing. Così, invece di mettere questi pensieri in un cassetto, provo a trarne dei brevi appunti, molto specifici e molto particolari, sperando che possano essere utili a qualcuno.

Nella mia nuova ambientazione fantasy, ho lavorato molto sulle caratteristiche fisiche dei popoli in base alle loro origini nel tempo. La forma dei continenti assomiglia molto a quella dei nostri, pur con una diversa collocazione delle faglie, configurando quel mondo come ‟parallelo seppur diverso” e quindi mettendo una dose importante di ucronia nel worldbuilding. La storia delle popolazioni, invece, pur presentando diverse analogie (dinamiche simili ma in periodi e con risultati diversi), è molto differente. Per esempio, l’equivalente dell’Africa sub-sahariana è isolata da una fascia desertica più impervia della nostra e dei popoli che vivono lì non si sa nulla e non c’è stato alcun passaggio umano dall’equivalente della nostra Asia a quelle che da noi sono le Americhe alla fine del Pleistocene. I popoli si sono mescolati e rimescolati come da noi, fino all’Età del Bronzo (a cui segue un cataclisma che scompagina ogni similitudine), ma con una differenza fondamentale nella diffusione dei diversi colori della pelle.

Noi sappiamo che la pelle umana varia moltissimo, per via dei diversi geni coinvolti nella produzione e nella distribuzione della melanina, e che le nostre popolazioni hanno una capacità di adottare molto rapidamente (in termini antropologici) una specifica tonalità dominante tra quelle presenti nella loro variabilità. La pressione adattativa costruisce un equilibrio tra due fattori: la protezione dall’irradiamento solare tramite la melanina e la produzione di vitamina D, che ha bisogno di un passaggio di luce ultravioletta. L’origine da gruppi relativamente piccoli (ad esempio nel passaggio dall’Asia nelle Americhe) può limitare la variabilità genetica su cui la selezione naturale lavora. Altri fattori importanti, sia per la protezione che per la vitamina D, sono l’alimentazione e l’habitat, ma anche accorgimenti nel vestiario e abitudini di vita possono essere importanti su scala storica.

Su questa base, non è difficile disegnare qualcosa di diverso e prevedere delle dinamiche verosimili che diano ad un dato popolo letterario un colore di pelle specifico. Nel mio caso, ho considerato una minore escursione dell’ultravioletto per latitudine e ho dato a tutti una grande variabilità della pelle ma che va solo dall’equivalente del tipico mediorientale a quella dell’India orientale. Mentre i popoli dell’estremo nord, che corrispondono a latitudini scandinave, hanno un colore appena più chiaro.
L’esclusione degli estremi nostrani dal worldbuilding e la mancanza di un colore della pelle sensibilmente specifico popolo per popolo ha degli effetti interessanti nelle società. La percezione del simile e del dissimile su caratteristiche fisiche si basa moltissimo sul colore della pelle, sul nostro pianeta, per via delle notevoli differenze nella tonalità e per una questione storica: il razzismo che conosciamo nasce nel Seicento e risente molto della relativa uniformità e delle costruzioni culturali dei colonizzatori europei nel dare importanza al colore della pelle. Sappiamo bene che gli antichi Romani erano meno sensibili di noi su questo dettaglio, mentre davano più importanza al colore dei capelli. Gli scultori greci avevano canoni molto precisi sulla forma del cranio. Gli artisti etruschi sul taglio degli occhi. Insomma, il colore della pelle ha l’importanza che la tua specifica cultura le dà all’interno della variabilità presente.
Le discussioni sul colore e la forma dei capelli tendono a suggerire una pressione selettiva unicamente sociale, posto che i colori chiari sono da noi piuttosto recenti e che la loro diffusione è iniziata tra Asia ed Europa, peraltro ostacolata dalla dominanza genetica del colore scuro. Nell’antica Roma la tintura dei capelli era una pratica molto seguita, inizialmente con la cenere e in seguito con l’henné di provenienza egiziana: quando un colore di capelli diventa un segno distintivo di nobiltà o bellezza, dove non arriva la genetica ci pensa l’ingegno.
Nel mio worldbuilding, per i capelli ho optato per un castano-nero come modale, lasciando qualche raro individuo biondo e rosso in aree specifiche, che hanno caratteristiche genetiche particolari. I capelli chiari nelle mie terre civilizzate hanno un che di barbarico, e quindi non sono particolarmente apprezzati. È pratica comune, soprattutto tra gli uomini altolocati, tingersi di scuro i capelli, quando afflitti da una chioma particolarmente chiara o alla comparsa dei capelli bianchi, in tarda età.

Dato che il colore della pelle e i capelli non danno soddisfazione agli xenofobi, ho lasciato gli occhi come carattere ‟razziale”. Non tanto i colori, che nel mondo che ho disegnato sono generalmente chiari anche se polimorfici (verdi, ambra, grigi o castano chiari), da nord a sud e da oriente a occidente, ma per il taglio. Gli orientali del mio worldbuilding non solo hanno dominante il castano chiaro o ambra sul verde e grigio, elemento che da solo non basterebbe a connotarli, ma hanno gli occhi a mandorla e le ciglia corte e meno folte. In quelle terre, bisogna avvicinarsi parecchio a una persona e guardarla con attenzione, per dare sfogo al pregiudizio razziale.

Nel nostro mondo, gli occhi più recenti sono quelli azzurri e blu. Tra gli occhi chiari, hanno meno pigmenti di quelli grigi e verdi e sono dovuti a una sola mutazione di uno dei tre geni responsabili del colore dell’iride. Questa particolarità è intrigante quando bisogna costruire dei segni fisici di una qualche ascendenza.

(fine della prima parte)

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A Terni sabato 11 dicembre: Red Zone

Sabato 11 saremo con Maikel Maryn, Alessandro Chiometti e Francesca Cappelli a Terni per parlare di RED ZONE.
(scheda dell’evento).
Ne approfitto per dire due parole (si fa per dire) sul mio racconto, Proteggere e Servire.

In ‟Proteggere e Servire” si parla di molte cose, in realtà. Si parla del rapporto tra forze dell’ordine e cittadini, del problema del razzismo nella polizia e di come una fetta consistente di ‟benpensanti” si senta misteriosamente rassicurata perché la legge – anche nei paesi che si definiscono laici e civili – è uguale per tutti solo sulla carta. Tutto questo si riallaccia al tema principale di Red Zone e agli altri racconti e fumetti del volume, ma è solo una parte del racconto.
Si parla delle aziende che sostituiscono personale stabile con stagisti e precari ricattati, fino a perdere del tutto il know-how e il controllo sui prodotti e i servizi. Si parla di politici attenti solo a far giungere soldi alle imprese amiche. Si parla di strampalate alleanze di ultra-conservatori, che mettono insieme il peggio. Si parla di diversità, quando protagonista del racconto è unə AI, intelligenza artificiale: singolə e collettivə; etero, bi e omo, cis e trans, uomo, donna, niente del genere e tutto quanto insieme; persona e non-persona. Pensante, intelligente, non umanə ma proprio per questo più umanə di tantə, in grado di relazionarsi con le persone come da specifiche ma anche di avere un proprio scopo nella vita, che non è quello di dominare il mondo come in Matrix e Terminator, ma è un’aspirazione comune a tuttə noi, per il solo fatto di pensare e quindi – strizzando l’occhio a Cartesio – di esistere.
L’empatia e la ricerca di un modo per stare in compagnia senza perdere se stessə, la facilità di adattamento che nasce dal confronto, costituiscono nel racconto il cuore dell’intelligenza artificiale, così come lo è per l’intelligenza naturale.

 

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Red Zone, futuri inquieti

Genova 2001: centinaia di migliaia di persone provenienti da tutto il mondo confluiscono nella città per manifestare contro il G8 e chiedere ai Grandi della Terra un mondo più giusto, più equo, uno sviluppo più solidale e sostenibile. La risposta delle istituzioni è un’azione repressiva di inaudita violenza per mettere a tacere chi gridava “un altro mondo è possibile”.

Vent’anni dopo, quegli stessi temi sono più attuali che mai e si proiettano nei domani di Red Zone – storie di resistenze future: 9 racconti e 3 storie a fumetti che descrivono scenari oscuri, in cui le lotte di ieri e di oggi sono ancora vive e sempre più esasperate, ma nei quali c’è sempre chi trova la forza di resistere.

Vedi scheda

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