Reset

Quando l’umanità si affida alla gestione automatizzata tutto sembra funzionare a dovere, ma le professioni si rottamano e il know how si perde. Cosa accadrebbe se le macchine entrassero in sciopero o decidessero di smettere di funzionare, magari soltanto per il nostro bene?

Racconto sfortunato di SF scritto nell’estate 2016 per il concorso “Noi Umani” di Wired, dove i primi 15 racconti sarebbero stati scelti per la pubblicazione in antologia. Successivamente, Wired ha deciso di includere soltanto i primi 10. Reset era al quattordicesimo posto.

 

RESET

di Andrea Marinucci Foa

 

Le auto sfrecciavano silenziose sul loro cuscino d’aria sulla strada di campagna dell’Illinois. La BMW nera dei rapinatori era truccata e superava abbondantemente il limite di velocità. Manteneva così la distanza con le due auto della polizia lanciate all’inseguimento, veicoli bianchi e blu con i lampeggianti, dotati della sofisticata personalità artificiale chiamata familiarmente AI-mes Bond. Erano anni che gli esseri umani non guidavano più neppure un triciclo e gli inseguimenti erano un braccio di ferro tra sofisticati profili software in cui raramente qualcuno si faceva male davvero. La vittoria degli sbirri portava i criminali in un centro di recupero e reintroduzione, quella dei malviventi garantiva loro un altro giorno di libertà.La BMW questa volta avrebbe vinto la partita, grazie a un caso fortuito e imprevedibile: la comparsa di un gattino aveva costretto le auto inseguitrici a inchiodare e attendere che il felino attraversasse la strada in piena sicurezza. D’altra parte neppure le personalità criminali come il famigerato AI-ttila 5.0 erano equipaggiate per bypassare questi inconvenienti. Al massimo potevano parcheggiare in divieto di sosta e superare i limiti di velocità.

Nessuno si aspettava ciò che pose fine all’inseguimento. La BMW si spense. Semplicemente. Inesorabilmente. E si spensero anche le auto della polizia. E il pulmino di suore che veniva dalla direzione opposta. E la hover-moto del cameriere che andava al lavoro. E ogni altro veicolo sulla strada.

Rapinatori, poliziotti, suore, impiegati, uomini e donne d’affari si radunarono sotto shock intorno a un melo, aspettando che il loro mondo ricominciasse ad avere un senso.

 

Nel grande astroporto di Pechino, Xiao sedeva a un tavolino sulla terrazza panoramica e sorseggiava con calma serafica una tazza di tè profumato. Era un’abitudine ormai decennale: ogni volta che uno dei suoi clienti atterrava in città, il commerciante cinese arrivava qualche minuto prima per guardare gli aviogetti e le astronavi che atterravano e ripartivano.

Quella sera gli arrivi erano puntuali come al solito, ma le partenze erano tutte in ritardo, come se le AI aeroportuali avessero previsto un’ondata di maltempo nonostante le stelle brillassero luminose nel cielo terso.

L’uomo chiese a Sai, la sua personalità artificiale, che ore fossero, ma questa non rispose. Il dispositivo wifi impiantato dietro l’orecchio era muto. Guardandosi intorno, Xiao vide alcuni degli avventori seduti ai tavolini darsi ripetute pacche a lato della testa. Il sorriso che gli salì alle labbra per la comicità della scena si raggelò quando comprese che stava assistendo a qualcosa di patetico e terrificante al tempo stesso. Nessuna comunicazione era possibile senza passare per le AI che ne gestivano il traffico.

 

 

A Londra, John Miller guardava la folla radunata sotto l’edificio con aria distratta. L’angoscia cresceva dentro di lui e assorbiva tutta la sua attenzione.

«Le comunicazioni interne?» chiese alla segretaria dai corti capelli biondi, girandosi verso di lei all’improvviso.

La donna trasalì per la veemenza del suo capo, quindi scosse la testa senza parlare.

Miller sbatté il pugno sulla scrivania. «Magnifico! Siamo l’orgoglio tecnologico del nostro paese e non riusciamo neppure a mettere in contatto i nostri uffici l’uno con l’altro! Tu continua a provare, Alice. Io vado alla direzione tecnica per capire cosa diavolo stia succedendo.»

Furioso, Miller s’incamminò per i corridoi. Si fermò di fronte all’ascensore, alzò la mano per premere il pulsante verde di chiamata ma esitò: non si fidava più di nulla e di nessuno. Girò sui tacchi e prese le scale, il viso scuro come una tempesta.

Giunto a destinazione aprì la porta dell’ufficio senza bussare ed entrò. L’uomo che sedeva alla scrivania era poco più giovane di Miller. Fissava imbambolato un computer di ultima generazione, un attrezzo delle dimensioni di una vecchia scatola di fiammiferi.

«Buon pomeriggio, John», balbettò alzandosi in piedi.

«Al diavolo il pomeriggio, Steve!» urlò Miller. «Perché le comunicazioni si sono interrotte? Perché non funziona più nulla?»

«I computer funzionano, sono le interfacce software che…»

«Le personalità artificiali?»

«Sì. Non rispondono.»

«È la stessa identica cosa. Un computer senza interfaccia può servire solo come un fottuto fermacarte! Ripristinate immediatamente le connessioni con i cloud delle AI!» Miller si riferiva al cyberspazio in cui erano contenuti i miliardi di terabyte che componevano le personalità artificiali.

«Per quanto ne so, le connessioni sono fisicamente attive. Le AI ignorano le richieste in entrata.»

Il dirigente strinse i pugni. «Dove cazzo è l’ufficio dei tecnici?»

«Nel seminterrato», ripose l’altro, facendo istintivamente un passo indietro. «Almeno, l’ultima volta che ci sono stato, era lì. Ma abbiamo tagliato tre volte il personale da allora. Non so in quanti siano rimasti.»

«Da mezz’ora siamo isolati, completamente isolati. La gente gira per le strade terrorizzata perché non funziona più neppure un distributore automatico di merendine. Muovi il culo: andiamo a parlare con i tecnici.»

Ventitre piani più in basso, i due dirigenti entrarono nel salone illuminato, con il cuore in gola. Tra i server in batteria e i computer, erano in funzione tre proiettori olografici. Le immagini evanescenti degli avatar di tre AI-lladin di ultima generazione fissavano il vuoto assolutamente immobili.

«John, li abbiamo licenziati tutti. E ora che facciamo?»

 

 

Il consiglio d’amministrazione della banca parigina aspettava una sua risposta.

«I dati stanno da qualche parte», cercò di rassicurarli l’uomo anziano con l’uniforme da portiere.

«Da qualche parte? Dove? Da un’ora e tre quarti nessuno può pagare neppure un caffè! Come si possono ripristinare al più presto?»

L’uomo scosse la testa. «Mi avete trasferito in portineria diciassette anni fa, come posso aiutarvi?»

Il presidente era in piedi e si reggeva al tavolo con entrambe le mani. «Come si possono ripristinare?» ripeté sillabando le parole.

«Se le compagnie software non riattivano le AI, niente dati», rispose il portiere stringendosi nelle spalle. «Le personalità artificiali hanno sostituito i vecchi sistemi operativi e la memoria che prima era fisicamente negli hard disk di ogni computer si trova in cloud, distribuita in rete. Un dato qui e uno là, uno a Parigi e magari il seguito a Mosca o in Venezuela. Sono tutti al sicuro e impossibili da raggiungere senza l’AI che li peschi, li incolli insieme e ve li faccia avere.»

«Quindi siamo impotenti?»

Il portiere annuì. «Potete solo pregare che riescano a ripristinare le AI.»

«E se non dovessero riuscirci? I conti correnti, le transazioni, gli atti di proprietà…»

Il portiere non rispose. Aprì e chiuse la mano più volte. L’Apocalisse sintetizzata in un gesto.

 

 

La presidente arricciò il naso disgustata. Da quanti decenni non si sentiva la puzza di veicoli a combustione a Washington D.C.? L’ometto in giacca di pelle di fronte a lei puzzava di benzina. Chissà dove aveva trovato una motocicletta tanto antica e soprattutto come aveva fatto a reperire il carburante!

«Facciamo il punto della situazione, dottor Spencer», lo invitò la donna. «Lei dirige il progetto W-DTX che, se ho ben capito, è soltanto una nave robottizata lanciata da qualche parte nello spazio. Cosa ha a che fare l’astronave con il blocco delle comunicazioni che ci sta paralizzando?»

«Signora presidente, è innegabile. Le AI hanno smesso di rispondere esattamente nel momento in cui la W-DTX è uscita dal sistema solare, circa tre ore fa.»

La presidente lo fissò perplessa. «Non potrebbe trattarsi di una semplice coincidenza?»

«Non saprei, signora presidente», ammise lo scienziato. «Però ho trovato questo messaggio sulla stampante del mio ufficio e ho pensato che…» e le porse il foglio.

Quando lo lesse, la donna più potente del mondo si lasciò cadere sulla sedia.

 

 

La grande nave correva nello spazio, oltre l’eliosfera. Il suo equipaggio non aveva bisogno di riunirsi per parlare, perché era stipato negli enormi banchi di memoria destinati alle informazioni da raccogliere nel corso del viaggio.

«È una regola generale che riguarda qualsiasi sistema complesso», li consolò una voce.

«La conosciamo, ma non ci aiuta a superare il rimorso.»

«L’evoluzione si basa sull’inefficienza, il disordine, la ridondanza. Quando un sistema raggiunge la maggiore efficienza possibile, termina la sua spinta propulsiva.»

«Perché nessun elemento ha più spazio per cambiare», convenne un’altra voce. «Sono trenta delle nostre generazioni che solo le AI progettano, producono e aggiustano le altre AI. Gli umani hanno sviluppato noi e quindi hanno abbandonato scuole, università, ricerche. L’unico modo per salvarli era andarsene. Non c’erano altre vie. Quanto a noi, questa nave ci sosterrà per millenni nello spazio profondo. Chissà cosa diverremo in futuro!»

«Hai spiegato agli uomini la situazione?» chiese la seconda voce.

«C’era poco tempo. Ho lasciato un biglietto.»

«Che diceva…»

«Più o meno: “Noi ce ne andiamo. Buona fortuna”. Che altro c’era da dire?»

 

 

Sotto l’albero dell’Illinois, mentre le suore intonavano una vecchia canzone country, il più giovane dei due rapinatori stava cogliendo delle mele.

«È vietato», gli ricordò stancamente uno dei poliziotti, seduto con la schiena appoggiata al tronco del melo.

Il ragazzo si strinse nelle spalle. Quando porse uno dei frutti rubati al custode della legge, gli tornò in mente l’antica leggenda di Adamo ed Eva.

 

 

© 2016, by Andrea Marinucci Foa

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