Alla deriva tra i mondi

Di bolle di mondi incastonate in una matrice comune. Di oggetti, incubi, idee e frasi fatte che non hanno origine né probabilmente destinazione. Di oziosi e arguti pomeriggi passati al porto, guardando l’oceano e l’orizzonte lontano.

Uno dei loro posti preferiti era l’ultimo, piccolo molo di pietra del porto, là dove ormai attraccava solo qualche tartana, e solo se non trovava spazio tra i moli centrali, più comodi e meglio collegati con le arterie di Vadhe. Sotto a una torre diroccata e appena prima del promontorio roccioso, l’acqua era insolitamente pulita e da lì i Tre lasciavano penzolare le gambe con i piedi che sfioravano l’acqua o, a seconda della marea, s’immergevano appena nell’oceano. Talvolta si presentava loro, in lontananza, il raro spettacolo di un drago marino che saltava fuori dalle acque come un delfino, allargava le grandi ali blu e spiccava il volo in silenzio, verso il mare aperto. Morlon chiamava quel posto il Molo dei Filosofi, giacché il rumore della risacca e lo stridio dei gabbiani ispiravano discorsi profondi e a volte surreali, distaccati. All’imbrunire, le stelle ammiccavano e la massa scura dell’acqua si fondeva quasi con il cielo, appena tinto del rosso del sole ormai tramontato, in una rappresentazione spettacolare della vastità dell’orizzonte e delle proporzioni tra la natura e l’essere umano.

“Perché la tartana si chiama tartana?” chiese Morlon, l’esile barbaro dei ghiacci del nord.

Bran, lo spadaccino druido delle foreste forniva di solito il contrappunto razionale ai voli pindarici dell’amico, mentre la piratessa Llana mediava tra i due, abbracciando ora l’una ora l’altra filosofia.

“Probabilmente i primi esemplari avevano la vela dipinta con il tartan di qualche clan”, rispose Bran, dopo qualche istante. “O la parola significherà qualcosa di appropriato in qualche lingua che non conosciamo.”

“Non so”, sospirò Morlon. Diede una lunga sorsata all’otre di vino e lo passò a Llana. “Ci sono tanti misteri e certe volte viene da pensare che abbiano ragione quei pensatori che dipingono l’universo come un insieme di bolle di mondi, incastonati nella stessa matrice.”

“Per via della tartana?” chiese Llana.

“No, c’è molto altro dietro questa considerazione. Sarebbe lungo spiegarlo.”

“Hai qualche impegno pressante?” S’informò Bran.

L’ometto si strinse nelle spalle. “Pensavo che fosse noioso per voi parlare di queste cose.”

“Ma se lo facciamo continuamente!” protestò Llana.

“Sapete la leggenda del primo orologio di Eirlon?”

“No, pensavo che fosse un’invenzione di Vilaya, per via della fissazione vilayana con gli oroscopi, le costellazioni, l’ora di nascita e cose simili”, ammise Bran.

“Può anche essere, ma la leggenda parla di un artigiano di Eirlon, un certo Tikler, che passeggiando sul bagnasciuga alla ricerca di sassi piatti per qualcuna delle sue creazioni trovò una borsa di cuoio con uno strano oggetto di metallo, che poi era un cipollone simile al mio. Studiandone il quadrante, comprese subito che si trattava di un contatempo, per la somiglianza con le meridiane, sebbene i simboli riportati fossero del tutto sconosciuti. Quando pulì e oliò i meccanismi interni e lo fece funzionare, si accorse che le 12 tacche con la lancetta corta contavano le ore, mentre la lancetta lunga percorreva i sessanta minuti primi segnati con tacche più piccole.”

“Sappiamo come funziona un orologio”, lo avvertì Llana.

“Ebbene, il problema era che l’orologio correva troppo. Tikler calcolò che sarebbero occorsi undici minuti primi in più ad ogni ora. Nel replicarlo, dovette decidere se impostare un quadrante di settantuno minuti primi oppure se rallentare la velocità con cui la lancetta dei minuti percorreva il disco e ovviamente optò per la seconda opzione.”

“E questo che c’entra con la matrice delle bolle dei mondi?” s’informò Bran.

“Da dove poteva venire quell’orologio, se non da un luogo in cui la terra ruota su se stessa più velocemente?”

“Non poteva solo essere rotto?”

Morlon si strinse nelle spalle. “Beh, immagino sia possibile, anche se mi pare una ipotesi troppo prosaica per un pomeriggio come questo. E poi ci sono altri misteri, come sogni ricorrenti diffusi in diversi regni e regioni. Uomini dai buffi vestiti che vengono inghiotti da giganteschi uccelli di ferro e risputati sani e salvi a migliaia di miglia di distanza, torri di metallo e vetro che raggiungono il cielo, minuscoli uomini azzurri che vivono nei funghi…”
“I sogni li lascerei da parte”, l’interruppe Llana. “Nessuno li ha mai capiti. Ma forse non è del tutto impossibile quest’idea della matrice dei mondi, in cui più che una matrice si tratterebbe di un oceano la cui corrente porti qui e là storie, idee, persone e cose, alla deriva. Da anni, ormai, ogni capitano di vascello a cui si chiede se la sua nave è veloce fa un sorriso sornione e ti risponde che ha fatto la rotta di Kessel in meno di dodici parsec, sebbene nessuno sappia dove sia Kessel e cosa diavolo sia un parsec. Da dove viene quel modo di dire e perché si è tanto diffuso all’improvviso?”

Bran sospirò. “E c’è anche quella filastrocca che canticchiano tutti i bambini, tre anelli ai re degli elfi, sotto il cielo che risplende. Cos’è un elfo e che dovrebbe farne degli anelli? Forse è vero, Morlon. Può darsi che i pensieri e talvolta gli oggetti possano effettivamente andare e venire tra mondi paralleli, anche se sono poco incline ad aprire un’agenzia di viaggi per realtà alternative. Ma è un discorso che non porta da nessuna parte, visto che nessuno stregone o sommo sacerdote ha ancora compreso la realtà del mondo, come potremmo farlo noi? Siamo solo tre ladri intenti a parlare di filosofia in una sera al porto.”

Hits: 10