L’Oscura forfora delle tenebre

Ecco, la seconda allucinante puntata del delirante thriller L’Oscura Forfora delle Tenebre. La prima puntata la trovate qui.

Atto Primo
Scena Prima

Era la notte tra il 21 e il 22. Del mese scorso, certo! Che razza di domande! Avete presente quel lungo ponte di ferro, dedicato a Robert F. Kennedy, che unisce il Queens con Manhattan? Bene, la nostra storia comincia lì.

Tony era un uomo alto e robusto, quello che si definisce tecnicamente un “armadio”. Aveva un passo leggiadro come quello di un ippopotamo ed era assai poco contento della piega che stava prendendo la conversazione. D’altra parte Tony era quasi sempre poco contento, il suo ruolo nella mafia newyorkese lo prevedeva da contratto.
I suoi ragazzi Ricky e Martin avevano quasi la sua stazza. Ricky era giovane, portava un berretto da baseball ed esibiva un sorriso poco intelligente. Martin aveva una cinquantina d’anni, era calvo e zoppicava leggermente per qualche antica e dimenticata ferita di gioventù. I due tenevano fermo un giovane dall’aria spaventata.
“Vedi, Frank, da noi i debiti vanno pagati”, spiegò il boss con raffinato accento italoamericano. Aveva seguito da poco un corso di perfezionamento e ora poteva usare anche le espressioni più contorte senza inciampare nella pronuncia.
“Ti prego, Tony! Dammi ancora 48 ore per trovare i soldi!”
“Fammi un piacere, Franky: smettila di implorare, che sennò mi fai commuovere e non mi piace piangere mentre getto le persone dai ponti.”
“Noooo!” Urlò l’altro, cercando invano di divincolarsi.
“Ti piace il bungee jumping, Frank?” Tony sorrideva impietosamente, mentre Ricky gli legava una fune alla caviglia. “Martin, rendiamo lo spettacolo pirotecnico!”
Lo scagnozzo rise e versò un liquido puzzolente addosso al malcapitato. Mentre lo buttavano giù dal ponte, Ricky gli avvicinò l’accendino al viso, trasformandolo in una palla di fuoco che cadeva urlante verso le scure acque del fiume.
“E’ sempre stata una testa calda”, commentò il boss, guardando dal parapetto. “Prende fuoco per una quisquillia!”
Ricky sorrise. “Che spettacolo! Un pendolo di fuoco! La corda ignu… ignigufa…”
“Ignifuga, testa di rapa!”
“Quel che è. E’ stata una bella idea.”
“Dove andiamo, capo?” chiese Martin, mentre si incamminavano verso la riva in direzione del Queens.
“Picciotti, andiamo a trattare con una famiglia davvero potente. Un po’ strana, visto che tratta certi affari solo a tarda notte, ma potente assai. Si tratta di una mucca ben pasciuta che aspetta soltanto di essere munta da noi.”
“Ci diamo al formaggio?”
“Zuccone, era una metafora! Ti ricordi dove abbiamo parcheggiato?”
“Non sapevo che le metafore si facessero con il latte, capo”, si scusò Martin. “Abbiamo parcheggiato da quella parte, vicino al distretto di polizia, che così non ci fregano la macchina.”

 

(continua)

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L’Oscura forfora delle tenebre

Ecco, la prima puntata del delirante thriller L’Oscura Forfora delle Tenebre. Questa roba qui (chiamarla racconto è un po’ eccessivo) nasce da uno scherzo che contemplava un elenco di titoli spiritosi e una breve descrizione della trama. Come spesso accade, lo scherzo si è rivoltato contro il suo autore, che è stato costretto dai suoi lettori a scrivere il “racconto” demenziale. Così, per stare al gioco, ecco qui il frutto del doppio scherzo. A puntate e senza impegno.

Prologo

Sì. Lo so, lo so. Non si parla d’altro. Storie romantiche o maledette, l’amore che sboccia tra il non morto e l’umana, le lotte tra coloro che sono diversi e vivono tra noi in gran segreto. Lo so. Ma sono solo storie. Magari storie raccontate per farvi sognare o per farvi correre un brivido gelido lungo la schiena. Oppure storie seriali, digitate su una tastiera per vendere un libro o farsi un nome. Storie confezionate per voi. Perché la verità, se mai la veniste a sapere, non vi strapperebbe un sospiro romantico o un sussulto inquieto. Vi farebbe fuggire via, lontano, orripilati, sconvolti, terrificati.

Dei testimoni di quelle atroci, oscure vicende che gettarono un’intera cittadina nelle tenebre resto solo io. E non sono uno scrittore o un poeta. Non vivo di delitti e castighi, di armi e battaglie. Sono un apprendista parrucchiere, armato di scopa e paletta, profondo conoscitore dei segreti delle tinture e saggio quanto le chiacchiere di bottega. Non avrei mai raccontato questa storia se non avessi ricevuto l’offerta che non potevo rifiutare, e così ne parlai a Tony. Voi sbirri non potete capire: siete alti, muscolosi e qualcuno di voi sembra uscito da quei telefilm che qualche volta interrompono la pubblicità in tv, pieni di coraggio ed incoscienza. Che ne potete sapere, voialtri, di come si sente quando è sotto ricatto uno di noi, una persona comune? Tony aveva fatto rapire la mia mamma, povera donna. E se io non avessi parlato avrebbe premuto quel dannato pulsante riempiendo la stanza di quel veleno, l’intera collezione delle canzoni di Gigi D’Alessio. Non potevo tacere!

Così Tony finì quello che altri avevano cominciato e pagò il prezzo della sua stessa follia. E questo è l’ultimo atto, l’ultima testimonianza. Potete anche scrivere questa storia, se volete. Potete raccontarla. Ma non vi crederanno, perché la gente vuole vivere tranquilla, perché certi orrori non devono uscire allo scoperto per turbare la nostra illusione di normalità. La vostra illusione, perché ormai la mia è stata brutalmente infranta.

Vorrei solo andare via, nascondermi da qualche parte, ma visto che non mi lascerete in pace finché non avrò vuotato il sacco, vi narrerò tutta la storia, così saprete tutto. E non vedrete mai, mai più il mondo nello stesso modo. Non alzerete mai più le spalle quando un calzino si smaterializzerà nella vostra lavatrice. Non ignorerete più le scie chimiche in cielo e quando al mercato incontrerete l’immancabile immigrato che vende l’aglio in sacchetti lo guarderete con occhi diversi.

Sì, parlerò. Ma voglio proprio vedere come presenterete il rapporto ai vostri superiori, come racconterete ai media questa vicenda! Ammesso che avrete il fegato di farlo, perché una cosa è rischiare la vita da eroi, affrontando le pallottole dei criminali, e un’altra è rischiare di passare per matti e leggere la compassione nello sguardo dei vostri amici e colleghi.

Mettetevi comodi, però, perché è una storia lunga e complessa, contorta come una cravatta lasciata in un cassetto già pronta da uno che non sa fare il nodo. E portatemi una birra fresca: raccontare mi fa venire sete.

Tanto, tanto tempo fa in una galassia lontana lontana…

(continua)

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