Fantasy, worldbuilding, lingue e società

Quando in ‟Luce e Ombra” ho creato elementi linguistici di un’antica civiltà in cui si adorava una divinità della luce o una delle tenebre in un apparente manicheismo portato all’estremo, sono partito dalle caratteristiche della società. La lingua, la scrittura anticipa al lettore come stanno davvero le cose e infatti la soluzione del mistero parte da una piccola avventura linguistica dentro a una più ritmata avventura fatta di spade, frecce, sotterranei, trappole e incantesimi.
Per ‟Il Rifugio del Signore del Mare” ho affrontato un’altra lingua, quella di una società isolana di astronomi, moralisti e cacciatori di streghe dall’indole estremamente meticolosa. Per cui la sua lingua ha nove tempi e un’infinità di modi verbali, tra cui l’imprecativo, l’assertivo, il dubitativo, il titillativo… È difficile fraintendere le intenzioni di chi parla. E d’altro canto, persino in una lingua così accurata, i modi di dire rispecchiano i pregiudizi della società, anche quelli più banali. Così, ad esempio ‟vendere biscotti”, attività mal vista per quel popolo, significa anche ‟tentare”, ‟indurre al male” e allude alla possessione diabolica.
La lingua è un modo di comunicare, certamente, ma le regole grammaticali, le parole, i suoni, le espressioni rispecchiano un insieme articolato di idee, abitudini, pregiudizi. Così uno scrittore fantasy deve immaginare nel suo worldbuilding un contesto intero per tirar fuori degli elementi linguistici da utilizzare.
Quando cambia il contesto, la lingua si evolve. Inevitabilmente. Piano piano, la maggior parte degli elementi anacronistici viene abbandonata o se ne perde il senso. La battaglia dei conservatori assomiglia a un muro di sabbia per contenere la marea. Inevitabilmente, in una società in evoluzione il linguaggio inclusivo prenderà piede.
[illustrazione di Morgana Marinucci per il Rifugio del Signore del Mare, Mari Aperti, 2020 – Senza Confine]

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