L’Oscura Forfora delle Tenebre

Sesta puntata del demenziale fantathriller urbano. Le puntate precedenti? 1 , 2, 3, 4, 5.

Atto Primo
Scena Quinta

No, non vi anticipo nulla: questa è una vicenda così complicata che se comincio a saltare avanti e indietro mi ci perdo. Abbiamo lasciato Tony con la chiavetta USB a New York e Bjorn in auto con la bionda in accappatoio nel Maine. La nostra storia prosegue a San Francisco nel salone di un…

“Brutto vampiro! Mi aveva promesso uno sconto!”

Che il Conte fosse un vero vampiro non lo sapeva nessuno, a quei tempi. Soltanto il suo aiutante di bottega aveva qualche sospetto, per via delle strane abitudini del Conte e per i suoi racconti estremamente vividi e ambientati in epoche lontane.

Parlo di me in terza persona, e allora? Vi dà fastidio? Lo faceva pure Giulio Cesare e ha fatto un sacco di strada nella vita.

Dei vampiri se ne dicono un sacco, ma non è facile distinguere un vampiro da un fesso qualunque. Per prima cosa, i vampiri odiano gli specchi, ma non è assolutamente vero che gli specchi non riflettono la loro immagine. Semplicemente, i vampiri non vengono bene allo specchio, così come qualcuno viene male in fotografia: la loro carnagione sembra giallastra e i loro occhi spenti; sembrano più paffuti e meno muscolosi, qualcuno persino più basso. Così il Conte stava sempre alla cassa, che è il posto più adeguato a un succhiasangue.

Ma no, la luce non lo riduceva in cenere e neppure gli conferiva un alone luminoso. Quelli sono effetti speciali che costano cari, e qui gli autori si tengono stretti con le spese.

La bottega del Conte era piccola ma situata in una strada parecchio trafficata e quindi il lavoro non mancava. Nonostante fosse un vampiro, i suoi prezzi erano tutto sommato abbastanza contenuti e questo contribuiva ad affollare il locale. Il Conte era vecchio, vecchissimo. Nessuno sapeva quando fosse nato, ma ogni volta che saltava fuori un qualsiasi argomento, dalle piramidi in poi, lui sorrideva sotto i baffi ben curati con l’espressione sorniona che voleva sottointendere “io c’ero”. Però tutti quei secoli se li portava bene! Sembrava un arzillo sessantenne, con i capelli grigi tagliati alla Cary Grant e dei baffetti alla David Niven. Di tutti i luoghi comuni sui vampiri, l’unico che aveva una qualche fondamento con il Conte era l’allergia alla croce. Ogni volta che si lanciava una moneta lui sceglieva testa. Matematico.
Un altro problema del Conte era con l’aglio. Ogni volta che sentiva odore d’aglio, chissà per quale ragione, cominciava a parlare con la erre moscia. Certo, non sembrava un problema insormontabile, ma quando il negozio accanto al tuo era un kebabaro che friggeva falafel tutto il santo giorno, la situazione diventava pesante.

Quanto al suo assistente, era un giovane elegante e distinto dall’intelligenza fuori dal comune e dal vivace senso dell’umorismo.

Questa è la mia storia, è chiaro? La racconto come pare a me.

La maggior parte dei tagli era affidata all’assistente, Steve, mentre il Conte si occupava della cassa e, stranamente, della pulizia del pavimento. Non lasciava quell’incombenza a nessuno, neppure ai garzoni che negli anni aveva assunto e licenziato a seconda di come andavano gli affari.

Quel giorno, il Conte ricevette visite: una coppia giovane. Entrambi erano alti, belli e biondi, lui con una barbetta ben curata, lei senza. Lei con uno splendido paio di tette e lui no. Insomma, erano due che attiravano l’attenzione. Appena entrati si fiondarono a parlare con il Conte.
“Qui bisogna proprio pavlave.” Esordì barbetta bionda. “Oh povca puttana, c’è aglio da queste pavti!”
“Bisogna favci l’abitudine”, rispose con filosofia il Conte.
“Quanto è fidato il tuo assistente?” chiese belle tette che era evidentemente più scaltra dell’amichetto, visto che evitava le erre con disinvoltura. “Discutiamo qui o ci spostiamo in un posto dove non c’è nessuno?”
“Vitiviamoci a pavlarve nel vetvobottega, se non vi dispiace”, propose maldestramente il Conte.

(continua)

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